sabato 21 aprile 2007
L'OGIVA © 2002 - Racconto di Daniele Cavalera
C’è una vasta chiazza sul letto privato di coltri.
E un corpo ceruleo è disteso sul materasso, con un accappatoio bianco.
Il capo è imbrattato di rosso ed è parzialmente coperto, forse dal cuscino. E le sue mani? Appoggiate sul petto... e c’è una pistola. E’ una canna nera dal palmo destro. E c'è sangue anche sul cappuccio in corrispondenza dei due fori: quello d’entrata… distruttivo… mortale. E quello d’uscita con l’ogiva della pallottola conficcatasi nella spalliera di legno pregiato del letto.L’illuminazione artificiale è accesa nonostante siano le 10.30 del mattino, nonostante entri abbastanza luce dalle persiane affacciate sul plumbeo della città. Lo senti? C’è un cd dei Man at Work che spande musica e che si ripete e si ripete, come una sorta di esoterica nenia, che si ripete e si ripete ancora a causa dell’auto-reverse. Note che si coagulano come il sangue della vittima, in sinergia con il fumo stagnante di sigaro. Probabilmente di un “cubano”.
Questo il quadro che si presentò ai cinque sensi del Pubblico Ministero, il dottor Erminio Taddei, in via del Risorgimento, 52… nell’abitazione della vittima. E la vittima era quel corpo finito. Era stato Remolo Gambin. Un uomo d’alta Finanza. L’uomo della Milano bene…“Ferita d’arma da fuoco parieto occipitale sinistra…”, gli confermò una voce consumata accanto al comò. Quel ridicolo parrucchino ambulante appoggiato su un’ottantina di chili portati davvero male, era il medico legale... e aggiunse, sgranocchiando dei pistacchi scusciati… “...a sinistra il foro d’uscita”.
“Mi raccomando! Badate a sequestrare la pistola, gli indumenti, le cartucce, la fondina, quel biglietto laggiù sul comò e quant’altro riteniate necessario”.
“Va bene dottò…”
“Taddei, maresciallo… mi chiami Taddei. Ah, maresciallo, date assoluto divieto d’effettuare alcuna operazione di pulizia sulla salma… divulgate quest’ordine al personale del Policlinico che lo prenderà in carico… mi raccomando Tosi”.
“Prima la scientifica, dottò?”
“Già, prima o poi alla scientifica, marescià…” e il PM sorrise con un senso di divertimento caduto a vuoto, e uno strano prolungato sguardo s’impossessò dei suoi occhi umidi. Poi uscì dalla camera e fu avvicinato da una donna. Da Esperia Gambin.
“Dottor Taddei, il suicidio di mio padre non deve restare impunito… e lei sa a cosa mi riferisco… lo scandalo non si può evitare. Ma lei colerà a picco assieme alla baracca se non si trova un ‘responsabile’”.
“Mmm… incaricherò il migliore investigatore. Sarà Gianfranco Falchi a condurre le indagini”, e indicò una figura alta e benfatta, ad una decina di metri da loro.” L’uomo doveva avere al massimo trentasei anni, e si muoveva con noncuranza in mezzo ai militi dell’arma dei carabinieri. E il dottor Taddei aggiunse un “La polizia è più indicata in questo genere d’indagini… meno fronzoli e più risultati.”
Ma c’era un rito di perplessità e falso dolore negli occhi di Esperia Gambin, che il PM male interpretava. Così che egli dovette dire qualcos’altro prima di congedarsi dalla donna: “Vada tranquilla Esperia, sarà fatto il possibile per salvaguardare la reputazione di suo padre… l’ispettore Falchi è dei nostri.”
Sangue dappertutto, nell’animo di Gianfranco Falchi… sangue morale che imbratta più di quello vero…L’ispettore Falchi è stato appena informato. Le spalle cadenti, se n’esce nauseato da quella casa… scende le scale di pregiato granito e profumate dai soldi e intossicate dal fumo sigaro che dall’appartamento si è propagato oltre. E l’ispettore passa davanti alla portineria vuota e si fa strada tra i curiosi riunitisi nell’androne. Poi si rivolge ad una divisa blu nel frastuono… la saluta, cirondato dalla folla.E Click e flash ovunque.
Farfuglia qualcosa come “…Fate largo… fate passare ... non abbiamo dichiarazioni da rilasciare… fate passare…” Quindi parla in direzione di un suo collega, ma deve alzare la voce, irritata da un bruciore acuto “ Totò disperdi i curiosi e la stampa, ma prima fate le fotografie dei presenti e identificate i sospetti… fammi avere le deposizioni che il Tommasi sta raccogliendo…e le voglio sul mio tavolo per questo pomeriggio…”
“Ispettore cosa ci può dire?”, insistette un giornalista con in mano un “aiwa voice sensor recording”. E aggiunse “…è confermata la tesi del suicidio?”
“Al momento gli elementi a nostra disposizione non c’inducono ad imboccare una sola strada. Al contrario, gli indizi sono molteplici e al vaglio degli inquirenti. Attendiamo gli esami di laboratorio sui reperti rinvenuti e solo dopo i risultati della necroscopia il PM in persona rilascerà una conferenza per la stampa nella sala riunioni della Regione. Sarete tutti invitati, naturalmente…”
“S’è parlato di tangenti milionarie e di un amante omosessuale che possa avere delle responsabilità oggettive nella prematura scomparsa del Gambin… ce lo conferma?”
“Non so dove attingiate le vostre informazioni signori. A me non risulta.”
“Ma non lo esclude?”
“Le indagini ruoteranno a trecentosessanta gradi… escludendo o confermando qualcosa potrei solo ingenerare confusione, all’armare l’opinione pubblica, o compromettere fin d’ora gli esiti investigativi. Spiacente, ma non posso e non ho altro da dire!" E l’ispettore si volta verso Totò con uno sguardo smarrito e con uno strano briluccichio. E' una specie di una richiesta d’aiuto.
“Fate largo, fate passare l’ispettore Falchi…”
“E che ci dice sugli illeciti che ruotano intorno alla sanità lombarda? Il Gambin era coinvolto? …Ispettore… ispettore?!"
Ma l’ispettore è solo una figura di spalle che si allontana. Finalmente fuori, si lava da dosso la puzza di puritanesimo e il soave odore di morte di cui la casa del Gambin era pregna. E davanti a lui c’è un piccolo parco grigio e scolorito. Ma quei quattro alberi secchi, e il frastornare del traffico e i gas di scarico sono meglio di casa Gambin.
“Già!”, esclama Gianfranco, accompagnandosi con gesti rallentati e di riflessione.
Cazzo cazzo cazzo…
Sangue dappertutto… anche nell’animo.
Gianfranco Falchi si sistemò la sciarpa rossa intorno alla gola irritata e si tirò su il bavero nero del cappotto. Come per erigere una barriera tra se e la realtà. Ma voleva soltanto proteggere la sua laringe dal freddo cianotico e polveroso di Milano…Lo sguardo triste e assente che i passanti potevano leggere nei occhi dell’ispettore non era depressione. Forse era qualcosa che si avvicina alla disperazione, ma non era angoscia… Era lo stato normale di un poliziotto … Ma celava qualcosa di più sottile: l’animo di chi ne ha viste tante, ma che però deve continuare a vederne. E queste “tante” deve combatterle, e deve far finta di conviverci, e talvolta si vede costretto a sporcarsi le mani per risolverle… in un modo o nell’altro. Quel freddo inverno non era percepito dai milanesi come l’"Invern0", ma piuttosto come una sorta d’anestetico… era un modo per rallentare la freneticità della vita fatta d’appuntamenti, incontri di lavoro, affari e occasioni, bidoni e solitudine, tra una corsa di tassì e una fermata dell’autobus con poche parole e nessuna voglia di parlare…
Il freddo rallentava i bruciori dello stress. Ma non placava Gianfranco Falchi… Rallentò il passo e si fiondò nella sua Hyundai. Era un coupè 1600 antracite. O un micalizzato di quella tonalità. Partì.
A quell’ora Milano era un muro infinito d’auto e di benzene, d’ossido di piombo e rumore…. Semafori. Ora semafori verdi… poi rossi e gialli… Semafori orinati da cani. E cani bastonati da uomini…. questa era Milano. Milano era anche in periferia… ed era senza verde e senza speranza. Grigia e puzzolente. Rumorosa, ma stranamente gentile. E fredda. Anche d’estate. Ma Gianfranco Falchi preferiva questa Milano. E la puzza dello smog era più sopportabile quando gli affibbiavano casi meschini come quello di Gambin.
L’ispettore Falchi girovagò per un tempo indefinito e volutamente non calcolato, senza interessarsi ad una meta e senza badare al traffico o alle strade che doppiava. Parcheggiò la macchina in Via Ferrari e si fermò per una colazione al suo solito ritrovo. Puntò verso il bancone in fondo a destra, nella luce calda e diffusa del locale.
“Salve ingegnere, il solito?…”
“Magari lo fossi … ingegnere, intendo... non mi troverei così incasinato, Giorgio. Sono invece un semplice ispettore che ucciderebbe la suocera per non farsi scoprire a letto con l’amante e che squarterebbe l’amico della moglie lesbica per non farsi beccare con la suocera…”
Il barman fece un largo sorriso, come per dare ad intendere d’aver colto il senso dell’humour macabro di Falchi.
“Dammi anche una ricarica per il cellulare… devo rimpiazzare il medico legale…”
“Intende farlo fuori?”
“Che hai capito… solo chi so io può darmi una mano per il nuovo caso…”
“Ispettore, perché mi racconta tutte qu--*este cose?"
“Perché sei un tipo riservato, e perché non fai troppe domande… e io ti dico quello che voglio.” Poi Gianfranco si rese conto che quella frase “solenne” non era sufficiente, quindi aggiunse “…Sono cose che non ti spiego completamente… non ti sarebbero d’alcuna utilità. In ogni caso…”
Prese da bere e se lo portò qui, nell’angolo estremo del bancone, isolandosi da tutti, facendo scomparire volti e voci, e sangue. Lontane e ovattate, solo le grida di una puttana ubriaca che doveva avere anche delle turbe psichiche. Gianfranco Falchi cavalcò la coda del tempo e si lasciò assorbire totalmente dai suoi pensieri... non gli avevano dato scadenze e urgenze… ma Gianfranco sapeva che da quest’indagine dipendeva tutta la sua carriera.
Il cadavere c’era… ora bisognava trovare il primo "coglione" al quale appioppare il suicidio…
sabato 14 aprile 2007
GESTIRE LE EMOZIONI
OPERA DELL'ALBANESE FAT MIR MVELAJ
Al giorno d'oggi, per avere una vita e una carriera soddisfacenti, non è più sufficiente essere brillanti, possedere una preparazione tecnica, lavorare sodo, essere raccomandati... diciamo che tutto questo serve. Punto.
E' però necessario un ingrediente fondamentale, che non è solo amalgamativo: l'intelligenza emotiva.
Questo non significa che, se uno allo stato attuale delle cose zoppica sotto questo "aspetto", si debba sentire irrimediabilmente spacciato... anzi, tutt'altro!
Al giorno d'oggi, sapendo quello che si vale, conoscendo le proprie debolezze e i propri punti di forza, modificando la comunicazione (imparando, cioè, a comunicare meglio), riconoscendo negli altri alcuni segnali, modificando i propri stati d'animo... si possono fare passi da gigante verso l'appagamento personale e professionale.
Ma, prima di tutto, è necessario avere chiare le idee sull'"intelligenza emotiva". Per questo motivo, vi servo su un piatto d'argento la definizione tratta pari pari da Wikipedia:
L'intelligenza emotiva, che alcuni dividono in interpersonale e intrapersonale, è una forma di intelligenza legata alla capacità di provare emozioni non razionali e di usarle in modo consapevole.
Daniel Goleman è sicuramente uno dei maggiori esperti al mondo per ciò che concerne questo tema ed è stato proprio grazie alla sua opera che questo campo ha cominciato a suscitare interesse nel pubblico.
Il termine nasce dall'esigenza di spiegare il successo di persone che sono dotate di una grande intelligenza che non ha natura cognitiva di tipo logico-matematico, ma si caratterizza per una forte carica emozionale e di trascinamento delle masse.
Compreso questo, e fattici una piccola ricognizione intrapersonale, ecco che ci sorgono dubbi leciti, e si affaccia il desiderio di sapere come fare a migliorarci in quest'ambito.
Non ci crederete, ma è possibile massimizzare le capacità di riconoscere, gestire e modificare consapevolmente i propri stati d’animo e quelli altrui.
Come? Imparando a:
1) Utilizzare la comunicazione per modificare gli stati d’animo
2) Accedere velocemente a stati d'animo desiderati
3) Cambiare volontariamente stati d'animo indesiderati
4) Riconoscere ed influenzare gli stati d’animo altrui
5) Ancorare stati d'animo desiderati
6) Produrre comportamenti desiderati
Alcuni comuni italiani, organizzano corsi gratuiti promossi dall'Assessorato alle pari opportunità (che si avvalgono dell'ausilio di preparati tutor, generalmente psicologi e/o sociologi). llezioni basilari, ma che aiutano a stare e a vivere meglio.
Naturalmente, per una formazione nell'ambito professionale, il mio consiglio è quello di rivolgersi a "strutture" specializzate per la formazione (a pagamento).
Però, tanto per iniziare, informatevi presso il vostro comune quando e dove ci sono questi corsi "basic", oppure chiedete all'Assessorato alle pari opportunità di organizzarli...
Scrivi a dannycavalera@tin.it e richiedi una guida sulla gestione delle emozioni
Vuoi conoscermi? Telefona al 339 2941152
venerdì 13 aprile 2007
IL DISTACCO: QUANDO UN AMORE FINISCE seconda parte
Si può provare rabbia, ribellione, protesta, si può urlare la propria disperazione, fino allo sfinimento...ma poi la vita continua.Col tempo subentra la calma: si passa pian piano dalla rassegnazione, al fatalismo, all’accettazione. Si può pensare alla rivincita a lunga scadenza, alla ripresa nel lungo periodo, vivere il tempo come alleato...
Bisogna accettare la condizione umana: ogni bene può essere perduto, anche l’amore di coppia. Ogni essere ha una parte (e a volte intollerabile, così sembra), di dolore; ma contro il muro di bronzo della realtà non serve battere i pugni ..non serve a nulla! La realtà non cambia. E’ giocoforza accettarla!
Se non io, chi? Se non adesso, quando? Se non qui, dove?Constatazione mentale, orale, scritta... nero su bianco. Scrivere può servire a circoscrivere, ridimensionare, relativizzare. Prendere atto che: "Sembra di morire, ma non si muore".
Per esempio: evadere col pensiero, rifugiarsi nella fantasia o nella fantasticheria, divertirsi e stordirsi nel piacere immediato, anestetizzarsi con gli psicofarmaci, l’alcol, le droghe (bere per dimenticare, affogare nell’alcol il proprio dolore)...
Invece bisogna guardare in faccia la realtà, chiamare le cose col proprio nome: tradimento, perdita, separazione, distacco, cambiamento, morte, lutto.
4. Cercare di fare buon uso della separazione!
Farne un tempo di riflessione, occasione per ri-orientarsi con punti di riferimento meno precari e illusori (abbasso la stupida corsa programmata dell’esistenza: la moda, il profitto, i mille inutili orpelli del consumismo, senza i quali pare non si possa vivere!), e invece...pian piano ci si adatta! Si trova un nuovo equilibrio, pian piano si trova un altro significato.
Cfr. Dubchek: "Il corpo come si adatta! Carcere, freddo, buio, inutilità, fame, lavori forzati... L’uomo è l’animale più adattabile e l’istinto di vita supera ogni avversità, fino a farsi una gioia di tanti piccoli niente... Nell’animo, nella profondità dell’anima (come nella profondità del mare) si può percepire una calma indistruttibile; l’esserci, il vivere, nonostante ogni privazione esterna, o perdita interiore."
Cfr. W. Frankl: "nel lager vivere è dolore, sopravvivere è trovare un significato a questo dolore!". (Uno psicologo nel lager)
Cfr. Solzenitsyn: "Lev, amico mio, la felicità non dipende dalla quantità dei beni strappati alla vita, ma soltanto dal nostro rapporto verso di essi "
L’umorismo ridimensiona, sdrammatizza, riduce il catastrofismo, ridà la giusta misura. Ci vuol saggezza, una certa filosofia, non prendersi troppo sul serio, sorridere di sé, (le vere cose che importano sono poche). E’ in questo sorriso fatto di ragionevolezza, di benevolenza e di relativizzazione, che sta la nostra fierezza di essere umani ("ragionevoli" appunto).
L’umorismo è il salvataggio del significato, e la capacità di riconquistare il senso della totalità, la visione dell’insieme dell’essere, la capacità di immaginazione dell’insieme (al di là della reazione catastrofica del "Tutto è perduto").
Resta il compito di ritrovare un significato qui, adesso, nella nuova situazione; tra il tutto e il niente ritrovare il possibile... Se si drammatizza... è perché - in balia dell’angoscia della perdita - i piedi affondano nelle sabbie mobili dell’insignificante, del "perduto per sempre"...
Ci sono persone incapaci di umorismo (=incapaci di ridimensionamento con la visione d’insieme delle cose): di ogni piccolezza fanno un dramma, e della loro esistenza fanno il dramma dei drammi! (egocentrismo megalomanico-narcisista)
Eppure, prima o poi, si dovranno fare i conti con le tragedie dell’essere, con la "malattia mortale" che è la vita e col destino di "condannati a morte" che è di tutti.
Se uno si distanzia arriva al senso della misura (delle vere misure). Se uno sorride, scherza con le cose che accadono, l’umorismo lo riporta al realismo, alla felicità possibile (che è l’unica raggiungibile).
Bisogna saper perdere, incassare i colpi delle avversità, reggere nella buona e nella cattiva sorte. La fortuna non dipende da noi. Non dipende da noi il vento: ma tenere ben alta la vela della nostra barca: questo dipende da noi!
(Solo il "giocatore" pretende la benevolenza, a tutti i costi, della dea dagli occhi bendati: la fortuna deve rivolgersi a me. Non può non rivolgersi a me, provo un’altra volta! E così complessivamente... fino ad autodistruggersi). Gran pessimi giocatori quelli che da avversari diventano nemici!
In realtà a noi tocca solo tenere ben tesa la vela della nostra barca, in modo che, quando il vento soffia, la nostra barca vada avanti. Ma il vento non dipende da noi.
Non tutti possono giungere alle tecniche terapeutiche più raffinate, ma si può puntare a raggiungere l’arte della separazione, l’arte del commiato; fare di un inciampo un gradino per salire, migliorarsi, maturare.
L’arte unisce al lavoro dell’immagine, il lavoro della materia. L’immagine si impone per il suo essere presente, lo splendore della forma s’impone, affascina. L’emozione estetica filtra il "bello", nell’anima, qui adesso (fino all’estasi).
Il lavoro creativo trasforma la materia, produce un grande raccolto! Ecco alcuni frutti:
armonizzazione
pacificazione
unificazione
riconciliazione dell’io e del mondo.
E’ la gioia il frutto finale di questa equazione creativa (non il piacere): essa annuncia che la vita è riuscita, ha guadagnato terreno, ha riportato vittoria (sulla morte, sul niente...). E’ la gioia di aver fatto nascere qualcosa, chiamato in vita, fatto esistere quello che prima - senza di noi - non c’era.
Essere creativi, esprimere biofilia, far esistere qualcosa che non c’era, dà una gioia (e si sente) che è una gioia divina! La separazione iniziale sul piano del piacere (perduto), ma la gioia creatrice gli va oltre, estrae dal dolore della perdita un’opera nuova, la separazione è nell’ordine del tempo (caduco) la gioia creatrice è dell’ordine dell’eternità.
Fare di un sasso in cui si inciampa un gradino per salire; dell’ostacolo un trampolino di lancio, per un salto qualitativo di vita, irragiungibile senza quella sofferenza. Ecco i passaggi possibili:
1) Morte - risurrezione (se il grano non muore non porta frutto)
Essa ha - come l’arte - il potere terapeutico di decentrare da sé, distogliere dal ripiegamento sterile, uscire da sé, volgersi verso l’oggettività, la realtà, il mondo.
Lo strumento tecnico (un apparecchio, uno scalpello, un computer...) è un prodigioso catalizzatore di energie: lo strumento mi obbedisce e mi resiste, concentra l’attenzione, devo imparare, far prove, ricominciare, dominare la mia impazienza! Mettendo ordine nel mondo degli oggetti, metto ordine in me stesso (ristabilizzo una gerarchia di priorità, ridefinisco una scala di valori).
Alla fine vinco, porto a compimento un compito. L’indefinito (e l’infinito) non mi danno respiro, il finito mi lascia il tempo per il riposo, per il rilassamento, per il sonno...
L’amore dell’oggetto può divenire il sostituto di un altro amore. Un buon rimedio contro la separazione non è la sostituzione, il riempimento con qualcosa d’altro? La compensazione più valida dell’oggetto perduto? Disinvestire e reinvestire di nuovo! Quale diversivo la molteplicità d’oggetti di consumo, i piccoli piaceri, le novità del mercato...
Bisogna potere agire, fare, "convertire un problema in azione".
Medici, psicologi, droghe... possono aiutare, vi passeranno di mano in mano le difficoltà, e si divideranno il compito di farvi vivere, di rimediare allo strappo della vostra vita.
La guarigione ottenuta con una rimessa in sesto del vostro corpo e della vostra psiche è un’opera di solidarietà.
L’azione è cammino della ricerca di sé verso il dono di sé; ma anche cammino dal "sé perduto" verso il "sé ritrovato" attraverso la mediazione del dono di sé.
Superati i vari "oggetti sostitutivi transazionali" (=di passaggio), si può arrivare all’oggetto vero: la comunità, la società, gli altri. L’altruismo come oblatività, donazione gratuita, per la gioia di sentirsi utili a qualcuno (dall’Eros all’Agape).
Il "Separato" si è finalmente de-centrato da sé, per ri-centrarsi sugli altri (=si è ritrovato perdendosi, ha guadagnato avendo avuto il coraggio di perdere).
Votarsi agli altri, rendersi utili a una causa, è da sempre un rimedio contro le grandi separazioni, contro i lutti irreparabili.
Ristabilire la comunicazione e, di questa, soprattutto l’ascolto. Un orecchio che ascolta più che una bocca che parli. Un "silenzio attento", che accoglie, fa spazio dentro di sé all’altro...
La parola crea spesso malintesi, banalizza, alza barriere... il silenzio attento dell’ascolto, crea legami, lancia un ponte, fonda una relazione (=si esiste solo in una relazione io-tu, si dà realtà di esistenza solo nel rapporto, la sensazione vera di esserci si ha solo nella relazione, nel dialogo io-tu).
Lo stoico dice: resta indifferente a quello che non dipende da te. "Se qualcosa si separa da te, tu sepàrati da essa" (con l’indifferenza). Cfr. Buddha. I legami ti strazieranno con separazioni crudeli: separati dunque da tutto e più niente ti procurerà separazione!
E’ questa l’ascesi? Il distacco è il prototipo di ogni ascesi: "Tutto è vanità e fiato sprecato" (Eccl. 1,17).
IL DISTACCO: QUANDO UN AMORE FINISCE prima parte...
Anche biochimicamente le cose cambiano nell’organismo: durante l’innamoramento si ha un aumento della produzione di endorfine e di feniletilamina (con conseguente senso di benessere, euforia, vitalità e desiderio sessuale); quando la relazione finisce, per contro, si ha un crollo dei livelli di queste sostanze (con conseguente ansia, apatia, senso di frustrazione, irritabilità...).
2) farsene una ragione (trovare una spiegazione, capire, e apprendere dall’esperienza della perdita) prendere l’iniziativa, affrontare la situazione, piuttosto che lasciarsi andare, autodistruggersi...
3) adottare la filosofia (dell’antica Cina) "può essere una disgrazia, può essere una fortuna"
4) viversi il tempo come alleato per cicatrizzare la ferita
5) far leva sulle forze residue per prendere in mano la situazione, accettando l’evento traumatico come una sfida, verso ulteriori traguardi possibili, poiché "la vita continua ", ed è l’unica che abbiamo.
Si possono cercare molte spiegazioni e trovare molte griglie di lettura: ma è importante capire, è rilevante - per apprendere dall’esperienza - analizzare alcune ipotesi di ricerca dell’evento "separazione". Fra i molti approcci possibili, se ne propongo tre: uno d’ispirazione psicanalitica, l’altro più legato alla ricerca empirica, il terzo - infine - di tipo storico-evolutivo.
Sternberg, Professore di psicologia e pedagogia a Jale, ha teorizzato, suffragato da alcune sue recenti ricerche, un concetto di amore completo, sulla base di tre componenti fondamentali: l’impegno come componente cognitiva, l’intimità come componente emotiva e la passione come componente motivazionale dell’amore. Si può visualizzare l’amore come un triangolo in cui quanto maggiori sono impegno-intimità-passione, tanto più grande è il triangolo e più intenso l’amore.
Da questa teoria scaturisce una tipologia collegata alla combinazione dei tre diversi fattori, dando luogo a otto possibili tipi di relazione.
"L’amore vuoto" è il quarto tipo di relazione, dove l’impegno è privo di intimità e di passione: tutto quello che rimane è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni: un tempo c’era l’intimità, ma ormai non si parlano più; c’era la passione, ma anche quella si è spenta da un pezzo.
"L’amore romantico" è una combinazione di intimità e di passione (tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione, è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno, come un’avventura estiva che si sa che finisce.
"Amore fatuo" è quello che comporta la passione e l’impegno, ma senza intimità. E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano, dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano. S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che di solito non dà buon esito nel lungo periodo.
"Sodalizio d’amore" è chiamato un rapporto d’intimità e impegno reciproco, ma senza passione. E’ come un’amicizia destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è scomparsa.
Nella ricerca fatta sui fattori che tendono a diventare più importanti con l’andare del tempo, si sono rilevati questi tre:
Sternberg propone un ultimo triangolo: quello dell’azione. Spesso c’è un bel salto fra pensiero, sentimento e azione. Le nostre azioni non sempre rispecchiano i nostri sentimenti, per cui può essere utile sapere quali atti sono specificamente associati alle varie componenti dell’amore.
La passione richiederà il contatto fisico, la sessualità, la varietà e non la monotonia dei comportamenti sessuali. L’intimità richiederà la comunicazione dei propri sentimenti interiori, l’offerta del sostegno emotivo, la condivisione del proprio tempo e delle proprie cose. L’impegno, infine, comporterà il fidanzamento, il matrimonio, la fedeltà, la capacità di superare i momenti difficili, la capacità di trovare un valido compromesso nelle diverse legittime esigenze ed aspirazioni.
E’ importante esprimere l’amore nei comportamenti perché il modo in cui ci comportiamo plasma i nostri modi di pensare e di sentire, forse non meno di quanto ciò che pensiamo e proviamo plasma le nostre azioni (se non agisci come pensi, finirai per pensare come agisci). Inoltre certe azioni portano ad altre azioni: le espressioni d’amore dell’uno influiscono su ciò che l’altro pensa di lui (sui sentimenti e sui comportamenti dell’altro nei suoi confronti) dando luogo così ad una serie di azioni che si rinforzano a vicenda. E’ necessario dare importanza alle espressioni d’amore. Senza espressione anche il più grande amore può morire.
L’idea che guida questa analisi è che la coppia tradizionale spesso entra in crisi e può morire a motivo della forte contrattualità, statica e consumistica, che sta al fondo di questa relazione: un disegno di norme latenti che modellano con forte direttività la relazione stessa.
Bertini fa notare che storicamente, superato il modello di tipo vittoriano dell’epoca precedente (rigidità dei ruoli e soggezione globale della donna), tra le due guerre, si è venuto affermando un modello apparentemente (e in parte obiettivamente) liberatorio, ma portante alla base, filtrata attraverso le varie ideologie post-freudiane e il consumismo capitalistico di ispirazione nord americana, una contrattualità implicita bloccante e mortificante.
E’ la cultura romantica dei fiori bianchi, dell’abito bianco di nozze, della fedeltà reciproca a tutti i costi, della felicità di stare insieme... (concomitantemente a questo mutamento di prospettiva, e apparentemente in modo contraddittorio, aumenta la conflittualità, la coppia è sempre più in crisi). E’ come se la coppia dicesse: "Dopo tanto laborioso cammino, finalmente siamo approdati a questo meraviglioso giardino recintato dove tutto si può godere. Protetti dal nostro amore e dalla consistenza del contratto. Il compito che ci sta davanti è finalmente quello di godere "consumando" insieme tutto quello che ci viene chiesto è di rispettare le regole di non uscire dal recinto e di sacrificarsi l’un l’altro, sicuri che l’amore riuscirà a far superare ogni ostacolo".
E’ un atteggiamento di base dettato dal consumismo imperante nella cultura odierna. E’ una visione statica, "di morte", ispirata all’ideologia del mercato che fa del matrimonio (invece che una fase cruciale per lo sviluppo della persona), un punto di stasi, entro cui godere e consumare dei vantaggi acquisiti.
Quali sono queste norme contrattuali implicite nella relazione tradizionale? O. Neill le indica così:
Alla radice della logica conservatrice, accrescitiva, si nasconde la paura come molla che blocca il progresso della persona. Paura di lasciarsi andare fluidamente nel gioco rischioso della libertà: paura di abbandonare le vecchie certezze, paura di affrontare il vuoto senza rischiarsi verso nuovi orizzonti creativi. Invece, molla traente della prospettiva dinamica dello sviluppo è la speranza. Speranza che dopo aver lasciato il braccio della madre (la morte ha questa certezza), c’è la scoperta dell’autonomia. Dopo la morte la risurrezione. Quella speranza che (come osserva Erikson) "è la più precoce e indispensabile virtù inerente allo stato di essere vivi". Quella speranza che una volta stabilita come qualità "basica" dell’esperienza, rimane viva anche indipendentemente dalla verificabilità delle "speranze".
Il rischio liberante della innovazione continua, sotto l’impulso della speranza, costituisce quindi una prima chiave interpretativa importante per l’analisi della coppia in crisi. A questo rischio si contrappone (nell’impostazione statica-conservatrice) il "bisogno di controllo" di sé stessi e degli altri.
L’evoluzione, la realizzazione della persona, non si attua tuttavia nel vuoto: l’uomo cambia ed evolve in un rapporto di coesione con gli altri. Il bisogno di coesione è fondante lo sviluppo a patto che avvenga nella dimensione della mutualità. La mutualità può essere concepita come una relazione un cui due membri dipendono l’uno dall’altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità (interdipendenza). Questo principio ci fa capire che non è tanto nella misura in cui uno dà o si mortifica per l’altro che l’altro cresce, ma nella misura piuttosto in cui uno si "realizza" nel rapporto con l’altro, che l’altro cresce. Il contrario della mutualità è la pretesa che l’altro cambi senza il rischio partecipativo del proprio cambiamento nel rapporto stesso. Non ha senso dire: "ho la speranza che la mia donna sarà più donativa", ma nella misura in cui rischiandomi nel rapporto, io stesso divento più donativo, in quella misura si cresce entrambi.
La garanzia quindi dello sviluppo sembra fondarsi in relazioni di reciprocità, in cui al di fuori di ogni logica prevaricatrice, la realizzazione di sé passa attraverso la realizzazione dell’altro e viceversa. Questo sono due chiavi normative ideali che possono innovare profondamente il rapporto di coppia: accettazione della vita come processo continuo di innovazione nella speranza e convinzione che la crescita autentica non avviene se non nel rispetto della mutualità. Accettazione della vita non come processo statico di accrescimento, ma come processo dinamico di innovazione nella mutualità: questa chiave di lettura ci consente di prendere coscienza di ciò che è morto nel modello tradizionale di relazione di coppia e di individuare le linee emergenti di un significativo salto evolutivo. E’ in questa luce che andranno rivisti i concetti stessi di fiducia, di sessualità, di ruolo, di uguaglianza nella coppia.
martedì 3 aprile 2007
POESIE (D'AMORE E DI DOLORE) di Daniele Cavalera
ANIMA DANNATA
La mia natura?
Selvaggia e Ria…
colora spine
odor sangue e Follia…
Acido Cuore
riarso
e in marci luoghi di zolfo
in cenere disperso…
La mia è natura
Selvaggia e Ria….
irta di spine
acuminata via…
Oh, disperata vita,
fin quanto
m’imbriglierai nell’ordito
tuo nefasto manto?
Daniele Cavalera (tutti i diriti riservati - vietata la riproduzione) Prato 20 dicembre 2006 (ore 1.45)
Quest'aria crepuscolare,
prima della pioggia,
è greve
come i pensieri
che mi rigonfiano
gli sguardi...
E si frantumano
oscurità,
penetrate
da lame improvvise
di luce aguzza...
come da squarci
d’improbabili realtà.
In che mondo
far coincidere
indefiniti
e tetri contorni
con cose chiare
e certe,
o con coerenti pensieri?
Ma questa riflessione,
lenta
e impicciata,
è ansia!
che prende
giù giù
alla gola
la mia luuunga
inquieta
basita
attesa.
Poi, finalmente,
dagli occhi
cielo
scroscia
la rovescia...
Daniele Cavalera (tutti i diritti riservati - vietata la riproduzione)
Lido di Camaiore, 3 marzo 2007 (ore 18.45)
SOPRAVVIVERTI DENTRO
dedicato a Silvia di Prato
Dimenticare
è sopravvivere
dentro...
...Mitigare
il dolore
del tuo ricordo...
...Lenire
il languore
degli sconforti...
...Cancellare
i cipigli
del cuore...
Dimenticare
l’Amore
per sopravviverti dentro...
Masotti, 31 maggio 2006
d’accanimento
nell’ombra oscura
del tramonto…
Ma perché?
Perché provare odio?
Per scoprire
l’emozione d’esistere?
E dov’è la Vittoria,
se il boccone
sa di Sconfitta?
Lido di Camaiore, 9 dicembre 2006
(al tramonto)
ANGELO NERO
L’angelo nero
non cerca il grido,
lo soccorre!
La fama
non lo sfiora,
lo evita.
Ha fame
e non s’impedisce
di darti.
La veste impesticciata
non trasanda,
nobilita.
La nudità
non è pornografia
ai suoi occhi.
L’angelo nero
non rifugge il demonio,
lo saluta.
Lingua strappata
che non sanguina mai
giudizi.
E’ anima
ribelle
all’Ingiustizia.
Con lo scudo
di teschio
irrora fiori di campo.
Un femore con la mancina
brandisce
per scacciar sciacalli.
Oggi mani insanguinate
hanno ucciso
o salvato...
... e tu osi giudicare
i colori dell’angelo nero
senza sapere?
Daniele Cavalera (tutti i diritti riservati - vietata la riproduzione)
Lido di Camaiore, 13 aprile 2007