
Nello specifico, faccio riferimento alle donne (che mi rifiuto di definire madri), che uccidono i propri figli. La cronaca nera italiana ha trattato frequentemente vicende di questo genere e ha portato alle luci della ribalta drammi che, nella storia del genere umano di ogni latitudine e luogo, sono sempre stati “guardati” con orrore e profondo sgomento.
L'art. 578 del Codice Penale così punisce "La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi". Quindi, nel concetto, di infanticidio, così come previsto dal codice penale, la parte attiva che procura la morte è data dalla madre, l'uccisione è in persona di un neonato nell'immediatezza del parto, e l'evento criminoso è in relazione con l’abbandono materiale e morale dell'autore del delitti.
I genitori che uccidono i propri figli al di fuori di questo strettissimo arco temporale, saranno colpevoli di omicidio. L'articolo 575 del C.P. afferma che "Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai ventuno anni". Diverse pene quindi, per delitti simili, la cui unica sottile differenza si basa unicamente sull'età della vittima.
Dal punto di vista teorico molto è stato fatto per riconoscere l'infanzia come categoria a sé stante rispetto alla maturità, con esigenze e problematiche svincolate da quelle degli adulti. Tuttavia sappiamo che, nella realtà, molto ancora deve essere fatto per garantire (in modo particolare ai bambini in condizione di indigenza o di deprivazione), una vita più serena.
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