mercoledì 21 marzo 2007

COMME TI AMMAZZO IL BAMBINO: LA SINDROME DI MEDEA

Immagine tratta dal sito di Sofia Maglione
La violenza satura la società odierna... in tutte le più disparate sfumature. E i modi e le forme attraverso cui si manifesta sono sempre più ambigui per cui molto spesso è difficile riconoscerla: si va dal massacro, dall'odio, dall'atrocità collettiva che sono forme molto “scenografiche” e le più facilmente identificabili, alla violenza più sottile del dominio economico, del rapporto tra capitale e lavoro, della divisione tra Nord e Sud del mondo, fino poi ad arrivare alle violenze definite "ordinarie", quelle esercitate contro i più deboli. In questo caso sono le donne, i bambini e tutti coloro che vivono e operano ai margini della società a farne le spese. Se in un passato recente era possibile distinguere in un determinato avvenimento sia il carnefice che la vittima, nella odierna realtà, spesso gli “interpreti” si scambiano i ruoli. E la cosiddetta “società”? È impotente davanti a queste situazione... e non riesce né a prevenire tali azioni, né tantomeno ad aiutare/proteggere gli attori che le agiscono o le subiscono.
Nello specifico, faccio riferimento alle donne (che mi rifiuto di definire madri), che uccidono i propri figli. La cronaca nera italiana ha trattato frequentemente vicende di questo genere e ha portato alle luci della ribalta drammi che, nella storia del genere umano di ogni latitudine e luogo, sono sempre stati “guardati” con orrore e profondo sgomento.

L'art. 578 del Codice Penale così punisce "La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi". Quindi, nel concetto, di infanticidio, così come previsto dal codice penale, la parte attiva che procura la morte è data dalla madre, l'uccisione è in persona di un neonato nell'immediatezza del parto, e l'evento criminoso è in relazione con l’abbandono materiale e morale dell'autore del delitti.
I genitori che uccidono i propri figli al di fuori di questo strettissimo arco temporale, saranno colpevoli di omicidio. L'articolo 575 del C.P. afferma che "Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai ventuno anni". Diverse pene quindi, per delitti simili, la cui unica sottile differenza si basa unicamente sull'età della vittima.
Dal punto di vista teorico molto è stato fatto per riconoscere l'infanzia come categoria a sé stante rispetto alla maturità, con esigenze e problematiche svincolate da quelle degli adulti. Tuttavia sappiamo che, nella realtà, molto ancora deve essere fatto per garantire (in modo particolare ai bambini in condizione di indigenza o di deprivazione), una vita più serena.

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LA PAZZIA

LA PAZZIA
è la normalità...

Ti regalerò una rosa

di Simone Cristicchi Ti regalerò una rosa Una rosa rossa per dipingere ogni cosa Una rosa per ogni tua lacrima da consolare E una rosa per poterti amare Ti regalerò una rosa Una rosa bianca come fossi la mia sposa Una rosa bianca che ti serva per dimenticare Ogni piccolo dolore Mi chiamo Antonio e sono matto Sono nato nel ’54 e vivo qui da quando ero bambino Credevo di parlare col demonio Così mi hanno chiuso quarant’anni dentro a un manicomio Ti scrivo questa lettera perché non so parlare Perdona la calligrafia da prima elementare E mi stupisco se provo ancora un’emozione Ma la colpa è della mano che non smette di tremare Io sono come un pianoforte con un tasto rotto L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi E giorno e notte si assomigliano Nella poca luce che trafigge i vetri opachi Me la faccio ancora sotto perché ho paura Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura Puzza di piscio e segatura Questa è malattia mentale e non esiste cura Ti regalerò una rosa Una rosa rossa per dipingere ogni cosa Una rosa per ogni tua lacrima da consolare E una rosa per poterti amare Ti regalerò una rosa Una rosa bianca come fossi la mia sposa Una rosa bianca che ti serva per dimenticare Ogni piccolo dolore I matti sono punti di domanda senza frase Migliaia di astronavi che non tornano alla base Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole Mi fabbrico la neve col polistirolo La mia patologia è che son rimasto solo Ora prendete un telescopio… misurate le distanze E guardate tra me e voi… chi è più pericoloso? Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto Ritagliando un angolo che fosse solo il nostro Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare Eri come un angelo legato ad un termosifone Nonostante tutto io ti aspetto ancora E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora Ti regalerò una rosa Una rosa rossa per dipingere ogni cosa Una rosa per ogni tua lacrima da consolare E una rosa per poterti amare Ti regalerò una rosa Una rosa bianca come fossi la mia sposa Una rosa bianca che ti serva per dimenticare Ogni piccolo dolore Mi chiamo Antonio e sto sul tetto Cara Margherita son vent’anni che ti aspetto I matti siamo noi quando nessuno ci capisce Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce Ti lascio questa lettera, adesso devo andare Perdona la calligrafia da prima elementare E ti stupisci che io provi ancora un’emozione? Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare